venerdì 30 ottobre 2015

MPN - Tutti gli inibitori allo studio per combattere la mielofibrosi

Vittorio Rosti (a sinistra) e Giovanni Barosi del Centro per lo studio della mielofibrosi del San Matteo di Pavia
L'incontro tra i pazienti dell'AIPAMM  e i pazienti del gruppo tedesco MPN - Netzwerk.de  tenutosi a Roma  il  23 ottobre è stato l’occasione per  un confronto tra approcci terapeutici prevalenti in Italia e in Germania e per fare il punto sui farmaci  disponibili e  quelli  in varie fasi di studio in Europa e USA.
Ad affrontare  quest'ultimo tema è stato il dottor Vittorio  Rosti del Centro per lo studio e la cura della mielofibrosi del San Matteo di Pavia il cui excursus storico sullo studio delle mieloproliferative croniche (MPN) ha evidenziato quanto a lungo  queste patologie del midollo osseo siano state trascurate dalla ricerca e quale accelerazione abbia quest’ultima avuto negli ultimi dieci anni.
Fu proprio un medico tedesco, Gustav Heck ,a studiare per primo la mielofibrosi , mentre lo statunitense William Dameshek fu il primo a distinguere trombocitemia essenziale (TE), policitemia vera (PV) e mielofibrosi(MF) con lo storico articolo Some speculations of the myeloproliferative syndromes, pubblicato nel 1951 sulla rivista Blood.
Da allora trascorreranno oltre 60 anni, prima di  un'altra scoperta decisiva,quella della mutazione driver del JAK.1/2 avvenuta nel 2005  che ha poi aperto la strada al capostipite di una generazione di farmaci anti Jak il ruxolitinib, in Italia il primo ed unico rimborsabile per il trattamento della MF con score prognostici elevati. Il ruxolitinib ( commercializzato con il nome di Jakavi in Italia) in buona parte dei pazienti agisce sulla splenomegalia e sui sintomi sistemici, ma incoraggianti sono i dati anche sulla sopravvivenza , mentre per quanto concerne gli effetti sulla fibrosi bisognerà aspettare ancora del tempo.
I farmaci anti jak2 si  sono arricchiti di altri inibitori negli ultimi anni, disponibili solo all’interno di trials :il momelotinib e il pacrtrinib sono quelli che si trovano in fase più avanzata e rappresentano opzioni importanti per quei pazienti che hanno assunto ruxolitinib  e che non hanno visto una risposta sulla splenomegalia o l’hanno persa, mentre anche se  ancora in fase  precoce, sembrano dare buoni risultati gli studi di combinazione tra ruxolitinib e  altri tipi di inibitori come il panabinostat, che possono aiutare a mitigare l’anemia o altri effetti avversi.
Il panabinostat, come il givinostat, appartiene al gruppo degli inibitori di HDCAC, mentre l’imetelstat, unico farmaco che al momento abbia dimostrato, sia pure in un gruppo limitato di pazienti di intervenire in maniera significativa sulla malattia, è un inibitore di telomerasi
 Promettenti infine anche gli studi di fase 2 sul glasdegib un importante inibitore di edhegog.
Non è un inibitore ma una proteina ricombinante in grado di regolare i meccanismi che producono fibrosi nel midollo osseo la Pentraxina 2,nota anche come PRM151 ( Promedior). 
Tanto su pentraxina 2 quanto su  imetelstat si apriranno molto presto trials anche in Italia.

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