giovedì 8 gennaio 2015

Mieloproliferative croniche - Myeloproliferative neoplasm - Cosa promette il 2015 - Incontro con Vittorio Rosti

Da destra:Vittorio Rosti, Antonella Barone e Maurizio Spoliti
L’ultimo decennio è stato decisivo nella ricerca sulle malattie mieloproliferative croniche PH- trombocitemia essenziale (TE), policitemia vera (PV)e mielofibrosi  (MF) - a lungo  considerate le cenerentole dell’oncoematologia. Nel 2005 è stato individuato il principale marker molecolare di
questa patologia, la mutazione V617F del gene JAK2 presente nella maggior parte di pazienti affetti da policitemia vera e mielofibrosi e in circa il 50% di quelli affetti da trombocitemia.  Poco dopo è iniziato lo studio di  ruxolitinib (INC424, e INCB1842), inibitore della Janus chinasi  selettivo per i sottotipi JAK1 e JAK2.Commercalizzato in Italia con il nome di Jakavi e rimborsabile da ottobre scorso come trattamento sintomatico della mielofibrosi, il farmaco è stato approvato dalla FDA per i pazienti con PV intolleranti o non rispondenti alla idrossiurea.
Ma un altro importante traguardo è stato conseguito di recente: l’identificazione di  un nuovo marcatore della malattia, la calreticulina mentre  nuovi bersagli terapeutici sono allo studio.
In occasione dell’iniziativa Fiori e musica per la ricerca organizzata da Aipamm-Ares di Roma con il dott Vittorio Rosti, responsabile del Centro per lo studio e la cura della mielofibrosi del policlinico San Matteo di Pavia, abbiamo cercato di mettere a fuoco  gli studi  più avanzati e promettenti tra quelli presentati   56° meeting annuale dell’Associazione americana di ematologia (ASH)
Dottor Rosti, da ASH 2014 non sembrano  emersi farmaci rivoluzionari nella cura delle malattie mieloproliferative croniche PH-  ma molti incoraggianti progressi negli studi su farmaci o combinazioni di farmaci già in sperimentazione. Iniziamo allora da Jakavi. Quali nuove prospettive nella sua utilizzazione?

La prospettiva principale emersa durante l'ASH per l'utilizzo di Jakavi, a parte l'indicazione all'uso del farmaco anche per la policitemia vera oltre che per la mielofibrosi, e' quella del suo impiego in associazione con altri farmaci, in grado di agire su vie metaboliche diverse da quella JAK/STAT su cui agisce il ruxolitinib. L'uso in combinazione ha diverse motivazioni: potrebbe permettere di usare dosaggi piu' bassi di farmaco, limitando cosi' gli eventuali effetti tossici dello stesso, e potrebbe essere efficace in alcuni pazienti in cui il ruxolitinib da solo non lo era stato. L'accesso all'uso in combinazione e' al momento limitato ai trial clinici, alcuni disponibili anche in Italia, e quindi regolato dai criteri di inclusione/esclsione dei singoli trial.
Sono stati presentati studi da cui emergono anche effetti del ruxolitinib sulla progressione della malattia?
Vi sono state segnalazioni di effetti positivi del farmaco sia sulla sua capacita' di ridurre sia il carico allelico [cioe' la quantita' di alleli mutati presenti nelle cellule del sangue] sia la fibrosi midollare [con report anche di scomparsa della stessa], cosi' come vi sono state segnalazioni di aumento della sopravvivenza nei pazienti trattati con Jakavi rispetto a quelli trattati con terapia convenzionale. Al momento pero' queste segnalazioni non hanno ancora un significato che si possa estendere alla popolazione generale dei pazienti e pertanto, seppure promettenti, non ci permettono di dire con certezza se ed in che percentuale di casi il farmaco e' in grado di impattare il decorso della malattia. Naturalmente, tutti ci auguriamo che cio' possa essere confermato da studi futuri.
Passiamo ora ad altri inibitori di Jak. Quali novità a proposito di momelotinib e pactrinib?
I due farmaci sono stati riportati essere efficaci, in una parte di pazienti che non avevano tratto beneficio dalla terapia con ruxolitib, nel ridurre la splenomegalia e la sintomatologia, in alcuni casi con effetti mielosoppressivi minori rispetto a Jakavi. Tuttavia, nel caso del momelotinib e' stata riportata, in una percentuale di pazienti attorno al 40%, la comparsa di neuropatie sensitivo-motorie periferiche di modesta o media gravita' che solo in parte sono regredite con la sospensione del farmaco ed in alcuni casi sono state permanenti. Cio' impone cautela ed attenzione nell'uso di questa molecola, che resta comunque una promettente alternativa al ruxolitinib, seppure ancora a livello di sperimentazione clinica. Pacritinib si e' rivelato efficace nel ridurre la splenomegalia ed i sintomi con modesti effetti tossici sul midollo osseo e la sperimentazione del farmaco e' tuttora in corso, cosi' come quella del momelotinib.
In Italia sono aperti trial  ed eventualmente in quali  centri?
Nuovi trial per questi due farmaci dovrebbero partire nei primi mesi del 2015.
A proposito dei trials per la PV, i  criteri di arruolamento dei pazienti  sono  molto restrittivi. C’è  la possibilità che vengano aperti ad una fascia più ampia di pazienti, ad esempio quelli con splenomegalia che sono numerosi nella PV?
 Il trial Response 2301, ormai chiuso ed anzi in procinto di essere pubblicato, prevedeva fra i criteri di inclusione anche la splenomegalia, mentre un successivo trial e' stato riservato a pazienti senza questo sintomo. E' comunque probabile che tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016 anche in Italia, come gia' negli USA, Jakavi verra' reso disponibile nell'ambito del SSN con l'indicazione all'uso nei pazienti con PV e non sono al corrente della programmazione di nuovi trial clinici nella PV con questo farmaco.
Invece per quanto riguarda i farmaci non inibitori di JAK, grande attesa c’è  per  il “ritorno” di imetlestat  dopo la sospensione chiesta dalla FDAe per l’antifibrotico  di Promedior. Cosa è emerso in proposito da ASH?
Durante l'ASH e' stato presentato uno studio di fase II su un numero limitato di pazienti svolto alla Mayo Clinic dal prof. Tefferi che ha mostrato, in pazienti affetti da mielofibrosi a rischio Intermedio 2 ed alto, efficacia del farmaco sia sui sintomi che sulla splenomegalia e sull'anemia. Inoltre, in alcuni dei pazienti che avevano ottenuto una risposta clinica vi e' stata anche una risposta favorevole sul carico allelico e sulla fibrosi midollare con riduzione fino alla scompasa di entrambi. Tuttavia, e' emersa anche la gia' nota tossicita' midollare del farmaco soprattutto in termini di piastrinopenia. Nello studio presentato, sono state riportate due morti in corso di terapia delle quali una, per emorragia cerebrale, riconducibile al farmaco. Imetelstat resta comunque un farmaco che mantiene importanti prospettive e che andra' valutato su casistiche piu' ampie e multicentriche. E' probabile che, vista la sua tossicita', venga riservato alle forme di  mielofibrosi ad alto rischio.
Ed ora un tema molto discusso nei social all’interno dei gruppi di pazienti prevalentemente d’oltreoceano: gli interferoni, ma in particolare il Pegasys,, il sofubivir e la combinazione tra basse dosi di Pegasys e di ruxolitinib . Quello che i pazienti non riescono a capire è come mai all’estero lo usino in tanti con risultati sembra di totale remissione della malattia e in Italia invece  lo usino in pochi e finiscano poi per sospenderlo quasi tutti.  C’è chi sostiene che in Italia si usino dosi troppo alte rispetto all’estero  e quindi gli effetti collaterali maggiori, non graduali e non sostenibili. E poi ci sono i soliti maligni che dicono che invece non sostenibili  più che gli effetti collaterali siano i costi al SSN del pegasys  rispetto ad esempio all’oncocarbide che resta per  la PV e la TE il farmaco di prima scelta. Che ne pensa?
L'uso dell'intererone nelle malattie mieloproliferative Ph-negative in Italia non e' molto diffuso se confrontato con paesi esteri, anche se nemmeno all'estero si puo' dire che l'uso dell'interferone sia diffusissimo. Il farmaco, che sappiamo essere in grado in un certo numero di casi di ridurre il carico allelico mutazionale e la fibrosi midollare, e' pero' responsabile dell'insorgenza di  effetti collaterali che in non pochi casi hanno costretto alla sospensione della terapia [sindromi depressive, tossicita' oculare o tiroidea]. E' possibile che l'uso del farmaco a dosaggi bassi riduca questi effetti  mantenendo una buona efficacia sulla malattia. Certamente, il costo del farmaco va anche considerato quando si debba decidere se trattare un paziente con interferone invece che con idrossiurea, considerata la grande differenza di costo tra i due farmaci. Sono comunque in corso protocolli sperimentali randomizzati che impiegano interferone peghilato contro idrossiurea in pazienti con PV o ET ad alto rischio che aiuteranno a valutare l'eventuale superiorita' dell'uno o dell'altro farmaco.
Dall’ASH sono emerse novità anche per quanto riguarda le mutazioni genetiche e altri fattori prognostici/ diagnostici?
La recente identificazione nel 25% circa dei pazienti con mielofibrosi o trombocitemia di una mutazione a carico del gene della calreticolina, CALR, ha aggiunto un nuovo parametro la cui influenza sulla patogenesi e prognosi della malattia e' in corso di valutazione. Dai primi studi su casistiche comunque ampie e' emerso comunque in maniera piuttosto evidente il valore prognostico favorevole della presenza di questa mutazione. In altre parole sembra che i pazienti con la mutazione di calreticolina nel DNA delle cellule emopoietiche abbiano un decorso di malattia piu' favorevole ed una sopravvivenza piu' lunga rispetto ai pazienti con mutazione di JAK2, MPL o nessuna di queste mutazioni. Ricordo che si tratta di pazienti con mielofibrosi od ET, poiche' i pazienti con PV  che hanno una mutazione di JAK-2 e, a parte rarissime eccezioni, l'avere una mutazione esclude l'averne un'altra. Oltre che il ruolo delle mutazioni, durante l'ASH e' stata ribadita ed ampliata l'importanza delle alterazioni citogenetiche nella prognosi della malattia, per cui e' stato proposto dal professor Tefferi uno score prognostico basato solo su di esse. E' difficile dire se questo score avra' in futuro un uso diffuso. Infine, il professor Vannucchi ha presentato uno studio che integra lo score prognostico "classico" basato sulla clinica e sui valori emocromocitometrici con le informazioni prognostiche derivate dalla presenza o assenza delle mutazioni di JAK2, MPL e CALR. I risultati sembrano essere molto promettenti e questo score potrebbe avere in futuro una vasta applicazione.

Cosa pensa della teoria del prof. Hasselbach  sulle mieloproliferative PH- come infiammazioni e sugli studi orientati all’epigenetica?
E' di questi ultimi anni l'interesse per il ruolo delle modificazioni epigenetiche nella patogenesi della malattia e sono addirittura in corso trial che prevedono l'uso di farmaci che interferiscono con l'attivita' di molecole implicate in tale regolazione. Penso quindi che gli studi orientati in questo senso siano importanti e possano realmente apportare nuove conoscenze sulla patogenesi della malattia. Per quanto riguarda il ruolo giocato dall'infiammazione nella patogenesi della mielofibrosi, credo che gli studi del prof. Hasselbach, cosi' come di altri,  debbano trovare ulteriori conferme che ne sanciscano la rilevanza e ne possano prospettare un utilizzo anche applicativo in campo terapeutico
In conclusione, solo dieci anni fa gli oncoematologi avevano a disposizione solo l’idrossiurea o poco altro per affrontare le  malattie mieloproliferative cronche. Oggi  sono molti i farmaci allo studio e con Jakavi ne abbiamo finalmente uno specifico per la MF. Dieci anni però , se sono pochi per la ricerca, sono molti per i  pazienti, soprattutto se affetti da MF. Ci sono opportunità  concrete   di cura se non di guarigione possono a breve termine  per  questi pazienti che, per quanto rari, sono centinaia di migliaia nel mondo?
Certamente vi e' una discrepanza fra i tempi della ricerca e le necessita' dei pazienti: tuttavia, come giustamente detto sopra, rispetto a 10 anni fa, la progressione della ricerca ed i risultati ottenuti sono stati tumultuosi. A breve non sembra essere disponibile una nuova terapia, al di la' del trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche, che sia in grado di guarire la mielofibrosi o la PV o la TE. Tuttavia, proprio per lo sviluppo delle nuove terapie osservato negli ultimi anni, non si puo' escludere che una nuova molecola in grado di influire efficacemente sul decorso della malattia venga sintetizzata in un lasso di tempo anche molto breve. Il problema e' pero' che, per quanto una molecola nuova ed efficace possa essere identificata e sintetizzata nel giro di soli 1-2 anni, essa deve comunque passare attraverso una sperimentazione clinica che necessariamente richiede un certo tempo per essere completata e validata, nell'interesse della salute e della sicurezza dei pazienti stessi. E' quindi necessario considerare sempre un  lasso di tempo di alcuni anni fra la scoperta di una nuova molecola e la sua utilizzazione su un ampio numero di pazienti.
(Intervista a cura di Antonella Barone)

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