venerdì 22 giugno 2018

Jakavi può provocare il linfoma?

I farmaci Jak inibitori possono essere correlati al manifestarsi di un linfoma aggressivo?
L’ipotesi è avanzata da un gruppo di ricercatori viennesi in un articolo apparso su Blood (ottobre 2017) e ripreso dal sito GEN Genetic Engineering AND Biotechnology News
L’allarme si è propagato in rete con tutte le amplificazioni e le distorsioni del caso  tra quanti (affetti da  mielofibrosi o policitemia vera) assumono ormai da tempo il ruxolitinib, in Italia commercializzato come Jakavi (Novartis)
Accolto durante le prime fasi della sperimentazione con speranze e perfino entusiasmi eccessivi, il farmaco si è poi rivelato essere non in grado di intervenire sul meccanismo biologico della mielofibrosi, ancora oscuro, ma di fornire importante sollievo dai sintomi. In altre parole Jakavi non cura, ma in molti casi riduce milza, dolori, senso di stanchezza e migliora la qualità della vita (anche se,  da un recente studio risulterebbe una riduzione del rischio di morte nella policitemia vera).
Alcuni ematologi hanno tuttavia notato il verificarsi di alcuni casi di linfomi aggressivi nel corso del trattamento con ruxolitinib (ma forse anche di altri inibitori di Jak in corso di sperimentazione, anche se l’articolo non lo dice n.d.r).
Da qui una prima indagine retrospettiva promossa da Heinz Gisslinger presso l'Università di Medicina di Vienna.
A confronto sono stati messi 69 pazienti con Jak2 mutato trattati con ruxolitinib ed un gruppo di 557 pazienti non in terapia con questo farmaco.
Hanno sviluppato il linfoma 4 pazienti dei 69, pari al 5.8%e solo 2, pari allo 0,36 % del gruppo che non assumeva il jak inibitore.
Ciò equivale - sottolineano i ricercatori austriaci - a un rischio aumentato di 16 volte per il linfoma a cellule B aggressivo nei pazienti che ricevono inibitori JAK.



Una differenza significativa ora in fase di approfondimento, anche se merita subito alcune precisazioni( frutto di richieste di chiarimenti ad esperti in mieloproliferative croniche Ph -)
 Il team di ricerca ha trovato un preesistente clone di cellule B nel midollo osseo per tre dei quattro pazienti che hanno successivamente sviluppato il linfoma. Ulteriori indagini hanno suggerito che questo clone sia lo stesso in seguito si trasformatosi in linfoma.
L’ipotesi pertanto quella che gli inibitori di Jak possano favorire la trasformazione in linfoma del clone B, al momento dimostrata solo nei modelli murini.

Un paziente che assume ruxolitinib deve allora interrompere il farmaco?

No, perché, anche qualora dimostrata la correlazione tra questo jak inibitore e il linfoma aggressivo, il rischio riguarderebbe solo i pazienti che hanno un un clone di cellule B preesistente nel loro midollo osseo. L’ematologo chiederà di accertarne l’eventuale presenza tramite un esame che gran parte dei laboratori effettuano o, nel caso si ritengano opportune ricerche più approfondite,  tramite un PCR (Polymerase chain reaction)

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