giovedì 7 luglio 2016

Mieloproliferative croniche- Medici, pazienti, associazioni: una rete per migliorare la cura

Giovanni Barosi ( San Matteo, Pavia) e Valerio De Stefano (Policlinico Gemelli, Roma)
Quando si scrive di un convegno sulle malattie mieloproliferative croniche ( e di ogni malattia  in attesa di una cura decisiva) si immaginano le aspettative del lettore-paziente nel leggere l'articolo, sintetizzabili in un'unica domanda:“C'è un farmaco nuovo?”. Inutile spiegare che non era questa la sede, che gli ultimi aggiornamenti sono di pochi mesi fa, che gli studi hanno i loro tempi. Se non si riferisce anche di una piccola quota di nuove speranze, si ha sempre l’impressione di divagare, consolare, deludere.
 Spesso la Malattia guadagna sempre più spazio nell’ esistenza del malato, le attese diventano solo attese di nuovi farmaci, le scadenze importanti quelle dei controlli clinici, le relazioni più intense quelle con medici e personale sanitario, mentre i sensi servono a riconoscere sintomi allarmanti e i progetti di vita sono condizionati dal chissà come starò-se potrò– se farò in tempo. Così la vita finisce per essere quello che accade mentre attendiamo il farmaco risolutivo.
 Questa espansione della Malattia nell'esistenza della persona - che magari non corrisponde ad un reale progredire della malattia stessa - impedisce alla persona di cogliere altri segnali utili a star meglio, che non sono necessariamente il farmaco risolutivo, ma che possono aiutare a conoscere  il nemico, a liberarlo da suggestioni, soggettivismi e persino superstizioni, ad avere meno timore della portata invalidante dei sintomi, ad apprezzare il lavoro dei ricercatori.
Il convegno Malattie mieloproliferative – Le novità di cura, le associazioni di pazienti, le reti di ricerca, tenutosi il 25 giugno a Crema, ed organizzato dalla Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo in collaborazione con la sezione cremasca dell'Associazione pazienti con malattie mieloproliferative (AIPAMM) occasione del 10°Memorial Gianbattista Mazzini. è servito soprattutto a questo.
Un convegno per medici e pazienti voluto da Giovanni Barosi - tra i primi  a studiare di queste patologie -  che alla più diffusa formula dell'incontro tra  pazienti  medici, dove in genere i primi chiedono e i secondi rispondono,  propone un'unità di tempo e di luogo in cui medici chiedono ad altri medici o a pazienti o ad associazioni o ad altri esperti. Perché non di soli farmaci ma anche di ascolto, non di sole attese ma anche di presente è fatta la cura, non di soli medici e pazienti ma anche di associazioni e di  altri soggetti la relazione di cura.
Come è cambiata la terapia nelle tre mieloproliferative nella Mielofibrosi, nella policitemia vera e nella trombocitemia, soprattutto nella prima dopo l’avvento del ruxolitinib.
Questo era uno dei temi delle prime due sessioni, affidate alle relazioni di Alessandro Maria Vannucchi (Azienda ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze) e Francesco Passamonti (Università dell'Insubria, Varese) che in sintesi hanno confermato  i vantaggi portati dal primo farmaco specifico in una buona parte di persone affette da mielofibrosi, ma lasciano spazio anche ad un rilievo meno positivo e cioè che in Italia è cambiato meno che negli altri paesi europei e comunque meno di quello che potrebbe cambiare anche con questo solo e (ormai relativamente) nuovo farmaco.
Infatti in Italia, il ruxolitinib è rimborsabile nella MF a rischio intermedio 2 alto, mentre in quasi tutta Europa anche per il rischio intermedio 1. Inoltre in quasi tutta Europa il ruxolitinib è rimborsabile per la PV nei pazienti intolleranti all’idrossiurea mentre in Italia lo sarà probabilmente tra un anno a causa dei tempi del procedimento,   notoriamente molto più lungo da noi che altrove (differenze simili tra Italia e resto d'Europa anche per l'interferone pegilato, di cui però al convegno si è solo accennato).In conclusione, le armi nuove ci sono, ma vengono usate ancora meno di quanto potrebbero.
Novità interessanti  arrivano da altri versanti come quello della ricerca sul rischio molecolare aggiuntivo alle mutazioni driver (a carico cioè di JAK2, MPL e CALR) che possono incidere sulla sopravvivenza globale o l’evoluzione in mielofibrosi o in leucemia acuta. Accertare la presenza di tali mutazioni potrebbe essere presto elemento decisivo per valutare se vi è indicazione al trapianto anche non sussistendo il rischio finora ritenuto rilevante o a entrare nei trial di nuovi farmaci Si tratta di analisi che richiedono sistemi diagnostici avanzati di cui non tutti i centri clinici sono dotati. Una risposta concreta a questa esigenza esiste già ed è il progetto Jaknet , all'interno di Labnet della Fondazione Ginema, rete di ricerca sulle malattie mieloproliferative , illustrato da Fabrizio Pane (Azienda ospedaliera Cardarelli, Napoli),Presidente SIE, Società Italiana di Ematologia. La rete nasce per fornire uno strumento adeguato all'ematologia di precisione che ha come chiave la messa a punto di farmaci innovativi mirati a specifici bersagli molecolari di ricerca e promuoverà la collaborazione tra numerosi ospedali italiani per offrire pari opportunità nella diagnosi e nella terapia a tutti i pazienti italiani affetti da queste malattie. Il vantaggio fondamentale di questo approccio è la possibilità di personalizzare la terapia in funzione dello specifico bersaglio, assicurando maggiore appropriatezza, efficacia terapeutica e significativi risparmi.
Ogni ammalato, sembra dirci la ricerca, è mutato a modo suo, è portatore di una sua  singolarità e specificità e l'appropriatezza (termine impropriamente requisito dal discusso decreto Lorenzin) ,va assunta nel suo significato di personalizzazione della terapia delle patologie onco-ematologiche, passate da trattamenti ad ampio spettro a terapie sviluppate sulla base dell’individuazione delle singolarità genetiche.
Una rivoluzione che deve investire anche la relazione di cura, sostituendo al modello osservazionale un modello relazionale in grado di utilizzare la complessità della malattia e del malato come risorsa n A parlarne è stato Ivan Cavicchi ( Università degli Studi Tor Vergata, Roma) filosofo della medicina, esperto di sociologia dell'organizzazione sanitaria e autore, tra gli altri sul tema, del recentissimo  ll cancro non è un carillon”( Ed Dedalo):ovvero, a parità di meccanismo non suona sempre la stessa musica. E' tempo per l'oncologia tutta di adottare un nuovo modello in grado di valorizzare nella lotta alla malattia  le verità personali e le "quote di individualità", non solo genetiche ma anche culturali,  biografiche e quant'altro il  malato può portare nella relazione di cura (a.c.barone)



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