martedì 26 giugno 2012

Le parole sono importanti, anche per i medici

Qualche giorno fa su il corriere.it - sportello cancro è stata pubblicata questa  intervista ad un'illustre ematologa:Tumori mieloidi cronici, questi sconosciuti. L'ho proposta al gruppo di pazienti trombocitemici su facebook chiedendo le loro impressioni sul tipo di linguaggio utilizzato dal medico. Ne sono venute fuori considerazioni interessanti che mi hanno portato a scrivere questa lettera, ad inviarla al periodico e a condividerla.


 Nel corso dell'intervista  rilasciata a ilcorriere.it -sportello cancro del 21 giugno, parlando del trattamento e dei nuovi studi su malattie  mieloproliferative croniche -  trombocitemia (TE), policitemia (PV) e mielofibrosi (MF) - la professoressa Giuliana Alimena, ematologa del Policlinico Umberto I di Roma, dice che  gli ammalati di trombocitemia e policitemia “possono sopravvivere anche vent’anni” Questa affermazione ha suscitato molte reazioni tra i  pazienti  con i quali sono in contatto - tramite due gruppi facebook, un’associazione  e un blog -   per due motivi:
1)  Alcuni, soprattutto giovani,sono  stati sconvolti da una voce così illustre giunta a smentire un dato da cui comprensibilmente traevano un certo conforto e riportato da tutti gli studi più accreditati e cioé che queste malattie, soprattutto la TE, non incidono in maniera significativa sull'aspettativa e sulla qualità di vita. La professoressa Alimena non parla  di sopravvivenza mediana,  ma di  sopravvissuti anche vent’anni, ovvero “persino vent’anni",come se questo costituisse il limite estremo su cui potere ottimisticamente contare.
Per fortuna , grazie alla rete web , noi pazienti ci conosciamo quasi tutti ( i vantaggi della rarità) e sappiamo che gli ammalati di TE e PV da oltre vent’anni non sono affatto miracolose eccezioni, ma una considerevole  percentuale. Il regista Gabriele Salvatores, per citare un caso noto, è policitemico da 31anni e negli ultimi 11 ha girato nove film (l'ultimo in Siberia).
2) Tutti si sono detti risentiti per l'uso del verbo sopravvivere che,in effetti,  evoca immagini di naufraghi sfiniti appesi a un relitto in attesa dell'onda fatale. In realtà ci  sono schiere di mieloproliferativi anonimi che vivono e non sopravvivono, che studiano, lavorano, si sposano, hanno dei figli e fanno progetti per il futuro. Ma vivono e non sopravvivono anche quelli che hanno la mielofibrosi negli stadi più avanzati, quelli che riescono a fare un viaggio fra una trasfusione e l’altra o quelli che studiano e danno esami mentre attendono il trapianto di midollo. E molti parenti di persone che non ce l’hanno fatta assicurano che i loro cari, pur soffrendo, hanno vissuto fino alla morte.
 Perché i medici quando parlano, soprattutto attraverso i media,  non sono  più attenti  e  rispettosi della sensibilità  ma anche della competenza che oggi hanno i pazienti?
Perché  anche loro non cercano le morettiane "parole giuste"che non sono affatto eufemismi ed espressioni cosmetiche, ma semplicemente  parole corrette (in questo caso perché riferite a persone e non a casi clinici).Anche per i medici, le parole sono importanti perché ( la citazione è  abusata ma funziona ) :" Chi parla male, pensa male e vive male".

Antonella Barone
MI.CRO
mieloproliferative.blogspot.com











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