Nel corso dell'intervista rilasciata a ilcorriere.it -sportello cancro del 21 giugno, parlando del trattamento e dei nuovi studi su malattie mieloproliferative croniche - trombocitemia (TE), policitemia (PV) e mielofibrosi (MF) - la professoressa Giuliana Alimena, ematologa del Policlinico Umberto I di Roma, dice che gli ammalati di trombocitemia e policitemia “possono sopravvivere anche vent’anni” Questa affermazione ha suscitato molte reazioni tra i pazienti con i quali sono in contatto - tramite due gruppi facebook, un’associazione e un blog - per due motivi:
1) Alcuni, soprattutto giovani,sono stati sconvolti da una voce così illustre giunta a smentire un dato da cui comprensibilmente traevano un certo conforto e riportato da tutti gli studi più accreditati e cioé che queste malattie, soprattutto la TE, non incidono in maniera significativa sull'aspettativa e sulla qualità di vita. La professoressa Alimena non parla di sopravvivenza mediana, ma di sopravvissuti anche vent’anni, ovvero “persino vent’anni",come se questo costituisse il limite estremo su cui potere ottimisticamente contare.
Per fortuna , grazie alla rete web , noi pazienti ci conosciamo quasi tutti ( i vantaggi della rarità) e sappiamo che gli ammalati di TE e PV da oltre vent’anni non sono affatto miracolose eccezioni, ma una considerevole percentuale. Il regista Gabriele Salvatores, per citare un caso noto, è policitemico da 31anni e negli ultimi 11 ha girato nove film (l'ultimo in Siberia).
2) Tutti si sono detti risentiti per l'uso del verbo sopravvivere che,in effetti, evoca immagini di naufraghi sfiniti appesi a un relitto in attesa dell'onda fatale. In realtà ci sono schiere di mieloproliferativi anonimi che vivono e non sopravvivono, che studiano, lavorano, si sposano, hanno dei figli e fanno progetti per il futuro. Ma vivono e non sopravvivono anche quelli che hanno la mielofibrosi negli stadi più avanzati, quelli che riescono a fare un viaggio fra una trasfusione e l’altra o quelli che studiano e danno esami mentre attendono il trapianto di midollo. E molti parenti di persone che non ce l’hanno fatta assicurano che i loro cari, pur soffrendo, hanno vissuto fino alla morte.
Perché i medici quando parlano, soprattutto attraverso i media, non sono più attenti e rispettosi della sensibilità ma anche della competenza che oggi hanno i pazienti?
Perché anche loro non cercano le morettiane "parole giuste"che non sono affatto eufemismi ed espressioni cosmetiche, ma semplicemente parole corrette (in questo caso perché riferite a persone e non a casi clinici).Anche per i medici, le parole sono importanti perché ( la citazione è abusata ma funziona ) :" Chi parla male, pensa male e vive male".
Antonella Barone
MI.CRO
mieloproliferative.blogspot.com
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