lunedì 26 settembre 2011

Lo sviluppo degli studi clinici sulla mielofibrosi

Non è sempre facile sintetizzare con parole comprensibili ai non addetti ai lavori lo sviluppo degli studi clinici sulle malattie mieloproliferative croniche, soprattutto quando a scrivere non è un esperto: si rischia di riportare stralci di articoli scientifici che nessun paziente è in grado di decodificare oppure di riassumerli con leggerezza, creando magari aspettative esagerate. Per questo motivo risulta preziosa la risposta ad una paziente scritta dal prof. Alberto Bosi, direttore dell'Unità funzionale di ematologia dell'Azienda ospedaliera universitaria di Firenze e presidente del Gruppo italiano per il trapianto di midollo osseo (GITMO),apparsa sul forum del Corriere della Sera.it qualche settimana fa. "I nuovi farmaci rientrano in tre principali categorie;"scrive Bosi"gli immunomodulatori, gli inibitori delle deacetilasi istoniche e gli inibitori della via di segnalazione JAK/STAT"

Gli immunomodulatori sono la lenalidomide e pomalidomide, derivati più potenti e meno tossici della talidomide e sono efficaci nelmiglioramento della grave anemia trasfusione-dipendente.Il loro meccanismo d'azione riguarda, tra l'altro, il controllo dell'alterato network citochinico.

Gli inibitori delle istone - deacelitasi agiscono invece sulla regolazione della trascrizione genica. Hanno una discreta attività mielosoppressiva e riducono la splenomegalia, ma la ricerca è ancora in fase preliminare.

Gli inibitori di Jak 2 sono quelli che finora hanno dato i risultati migliori dal punto di vista terapeutico. Ne esistono diverse preparazioni, ma nessuna colpisce in maniera selettiva il clone ammalato.Sono il Ruxolitinib - inibitore di Jak1 e Jak2, che ha un'attività mielosoppressiva discreta, riduce in poco tempo e notevolmente la splenomegalia e migliora la sintomatologia sistemica- e l'Everolimus, un inibitore della via di segnalazione AKT/mTOR. Questi inibitori rappresentano un grande progresso nella terapia dei pazienti con mielofibrosi avanzata e sintomatica anche se non è ancora possibile sapere se ne prolungano la sopravvivenza.

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